sabato 22 ottobre 2011

Vivere in uno stadio


Signore e signori, buonasera. Mi dite che è ancora giorno? Da un punto di vista strettamente astronomico, può darsi. Ma per questo paese è notte fonda. L'argomento di cui vorrei parlarvi oggi è l'estrema faziosità del popolo italiano. Così estrema da precludere qualsiasi possibilità di reale dialogo, di vero confronto. Noi siamo tifosi intrappolati in uno stadio. La nostra identità si risolve per buona parte nei colori che portiamo, nella curva in cui ci stringiamo ai nostri compagni di tifo.

Ho scelto come foto introduttiva del post la curva dell'Hellas Verona perchè ritengo quella tifoseria e quell'ambiente, più in generale, un perfetto esempio di faziosità indifendibile. Avrete sentito e letto del vergognoso coro razzista intonato in occasione della presentazione della squadra dal suo allenatore Andrea Mandorlini, subito seguito dalla tifoseria e dai suoi giocatori. Ecco, il fatto che non solo gli ultrà, protetti dall'anonimato e mossi da dinamiche tipiche degli eventi e movimenti di massa; ma addirittura l'allenatore, i giocatori, lo staff di quella società abbiano pensato di poter cantare "terrone ti amo" e non essere travolti da virulente polemiche è indicativo dell'assoluta mancanza di oggettività e senso del fair play. Che queste persone nemmeno si rendessero conto dell'inaccettabilità di ciò che facevano è dimostrato dalla reazione sorpresa di Mandorlini alle accuse di razzismo.

Giorni fa leggevo di un'indagine della magistratura sul nuovo stadio della Juve, che pare sia stato costruito con materiali  non conformi alle norme. La notizia era stata condivisa da un amico su Facebook, e prontamente due o tre persone avevano lasciato commenti che in un paese normale li avrebbero messi ipso facto fuori dal consesso civile, e invece in Italia passano per ragionamenti pertinenti e arguti. I magistrati ce l'hanno con la Juve, si riapre la ferita di Calciopoli e via dicendo. Chissà se la ditta (o le ditte) coinvolte si sono preoccupate del destino della povera Vecchia Signora, qualora fossero venute alla luce le loro magagne. Viene da chiedersi anche per quale squadra tifassero i costruttori delle case di sabbia dell'Aquila. Questo, sempre perchè viviamo in una curva da stadio; altrimenti penseremmo che un illecito è un illecito, non c'entra niente con la squadra del cuore, o con la fazione politica di riferimento. Naturalmente la magistratura valuterà se esistano le condizioni per istruire un processo o prendere altre misure repressive o restrittive. Nel frattempo il sindaco Fassino si è attivato per assicurare che la squadra possa continuare a giocare in uno stadio che potrebbe avere serie debolezze strutturali.

Sempre all'interno di questa logica possiamo leggere la reazione mediatica e d'opinione ai fatti di Roma, in particolare alle gesta di quello che è diventato un'icona di questa epoca di confusione e generico malessere: Fabrizio Filippi, in arte er pelliccia. Io non guardo quasi mai la televisione. Ormai la accendo solo per le partite di calcio o il Sei Nazioni. Qualche volta Santoro, che però ritengo prigioniero di un format (peraltro lanciato proprio da lui molti anni fa con Samarcanda) che rende praticamente impossibile lo svolgimento di un dibattito serio e maturo. Sì, Santoro ha capito che l'Italia era uno stadio, e si è inventato un brillante modello di trasmissione "di approfondimento politico" che incanala proprio le dinamiche più care agli italiani. Quello che mi arriva, della TV italiana, mi arriva tramite Facebook. 
E proprio tramite un link ho avuto modo di assistere a uno spezzone di una trasmissione Mediaset, mi pare, con un conduttore assurdamente incompetente, in cui da una parte erano schierati Landini, Bernocchi e Ferrero, dall'altra Sallusti. 
Presto il dibattito è degenerato, e dall'estintore scagliato dal Filippi si è passati a discutere di un altro estintore, questo mai lanciato, perchè colui che lo brandiva fu raggiunto da un proiettile alla testa. Parlo naturalmente di Carlo Giuliani, l'uccisione del quale Alessandro Sallusti è arrivato non solo a giustificare ma addirittura a elogiare. Ovvio che a quel punto confrontarsi è diventato impossibile, e la trasmissione è degenerata in una rissa verbale.

Ma l'esempio più eclatante della nostra faziosità negli ultimi tempi è, a mio parere, la risposta della Rete al linciaggio di Muammar Gheddafi.
Gira una foto, condivisa da un numero di persone rispettabilissimo, che recita nel titolo "perchè abbiamo ucciso Gheddafi". Sarebbe il caso di puntualizzare che Gheddafi non lo abbiamo ucciso noi, a meno che l'autore dell'immagine non si identifichi nei ribelli che hanno sparato all'ex leader libico. C'è poi una notizia, assolutamente non corroborata da alcuna fonte, secondo cui Gheddafi sarebbe stato ucciso perchè stava cercando di liberare l'Africa (insieme ad altri simpaticoni identificati vagamente come "capi di stato del Nord Africa") dalla dittatura economica del FMI. Anche le rivoluzioni colorate di Egitto e Tunisia sarebbero dunque da inquadrare in una grande offensiva delle forze oscure del capitalismo per stroncare sul nascere una nuova stagione di socialismo islamico. 
Bene, adesso proviamo a guardare in faccia la realtà. Per quanto riguarda Egitto e Tunisia, abbiamo assistito a mobilitazioni di massa, centinaia di migliaia di persone scese in piazza anche a rischio di farsi sparare addosso. Insomma, non certo uno dei raduni anticastristi di Miami a cui partecipano quattro gatti sotto l'egida praticamente esplicita della CIA. 
In Libia Gheddafi governava da circa quarant'anni, durante i quali è riuscito a mantenere il suo popolo in un tale stato di arretratezza da ritrovarsi impantanato in una guerra civile di tipo tribale. Certo, c'erano elementi di socialismo nell'architettura economica e sociale della sua Libia; ma se in 40 anni di governo ininterrotto non riesci a cementare il tuo popolo, a farlo sentire partecipe di un unico destino, affratellato dalla convivenza e dalla condivisione di una lingua, una cultura, e un senso di appartenenza alla stessa comunità nazionale, allora il tuo è la schifezza del socialismo.
La guerra in Libia è scoppiata prima dell'intervento delle potenze occidentali, quando Gheddafi ha iniziato a bombardare una delle città del suo paese. Questa è la realtà. Fin quando il Colonnello ha avuto la situazione sotto controllo, i leader europei si sono guardati bene dall'andare a svegliare il proverbiale can che dorme. Bastava che ci vendesse il suo petrolio. Certo, siamo intervenuti per quello, non per difendere gli insorti di Misurata. Ma perdonatemi, trovo un po' di incoerenza nel fatto di criticare aspramente (e giustamente) il nostro Presidente del Consiglio per come si rapporta al genere femminile  e poi elogiare un cavernicolo che si presenta a Roma con tanto di amazzoni al seguito, e si fa procurare uno stuolo di belle ragazze dall'amico erotomane; indignarsi per la censura che il nostro governo prova ad attuare contro la Rete, e poi fare agiografia di un uomo che risponde al dissenso con le cannonate.


Insomma, siamo prigionieri di logiche di sterile contrapposizione. Sarebbe il caso di riflettere sul fatto che pochissimi uomini, nel corso della storia, sono stati in grado di prevedere dove andava il futuro. Non parlo di divinazione, naturalmente, ma della capacità di capire come si evolve una società, un sistema economico, un dibattito culturale e politico; questo perchè il futuro arriva quasi sempre da una direzione imprevista. Rimanere intrappolati in un noi contro loro è inutile e controproducente, perchè l'avvenire, qualsiasi esso sia, sarà lo stesso per tutti. E allora mi chiedo perchè non smettere di essere spettatori di partite in cui non abbiamo niente da vincere o perdere, e uscire da questo stadio che è l'eterno presente in cui ci hanno chiusi.

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