giovedì 6 ottobre 2011

William Godwin, l'arcivescovo di Canterbury, Steve Jobs e...tua mamma.


Vi assicuro, cari amici, non mancano nella mia vita motivi di tristezza e rammarico. Ed è con invidia che prendo atto della valanga di post e link dedicati stamattina su Facebook alla morte di Steve Jobs. Sì, invidia, perchè se queste persone riescono ad essere dispiaciute per la morte di un completo estraneo vuol dire che le loro vite sono quello che in inglese si chiama un bed of roses. Tutte rose e fiori. Talmente prive di dolore da creare il bisogno di provarne per la scomparsa di una persona che non hanno mai conosciuto. Vale la pena a questo punto distinguere fra quelli che hanno voluto ricordarne il lavoro (sicuramente importante) e quelli che invece l'hanno ricordato come se fosse morto un loro caro.

Potrebbe sembrare una cosa ovvia, ma forse sarà meglio ricordare che il rapporto fra noi persone qualsiasi e le celebrità come Steve Jobs è un rapporto fortemente asimmetrico: se io vedo Maradona per strada lo riconoscerò immediatamente e sentirò un afflato di amore e lussuria nei suoi confronti, visto che sono cresciuto guardandolo giocare e farci vincere due scudetti, una Coppa Uefa e altro ancora; lui, invece, non sa chi io sia. Per lui io non rappresento niente. Scontato, certo. Ma era opportuno esplicitarlo.

Il 1793 vide la pubblicazione di un'importante quanto poco conosciuto trattato di filosofia politica, il Political Justice di William Godwin. In esso Godwin, uno dei pionieri del pensiero anarchico, individua il fondamento morale di una società equa nel libero esercizio della ragione, rifiutando qualsiasi categorizzazione di bene e male come concetti assoluti, e assumendo invece una posizione utilitarista: è buono, dal punto di vista sociale, ciò che arreca il massimo beneficio al massimo numero possibile di individui. Da qui la convinzione, che può apparire ovvia a noi, ma non lo era affatto per i suoi contemporanei, che l'organizzazione politica di una comunità debba avere come fine l'estensione dei frutti del benessere e del progresso a tutti i suoi membri. Quanto apparisse estrema questa concezione alla fine del '700 in Inghilterra (non dico in Inculandia, ma nel paese allora più progredito e più libero del mondo) è dimostrato non solo dalle violente critiche che ricevette l'opera di Godwin, ma anche dal fatto che l'epoca vittoriana, qualche decennio più tardi, avrebbe visto l'affermazione più o meno esplicita di un principio ben diverso: la povertà, il degrado, l'infelicità a cui nascevano destinate le masse di sfruttati che trasformarono la Gran Bretagna in un impero sul quale il sole non tramontava mai erano un prezzo inevitabile e tutto sommato ragionevole da pagare, in cambio di un progresso socialmente selettivo. Di solito un compromesso si raggiunge fra due parti. Il compromesso vittoriano invece è paragonabile al gesto di qualcuno che ti taglia un braccio, ma poi si giustifica dicendo che serviva per sfamare i suoi cani.

Dunque, condivisibile il pensiero di Godwin (e io lo condivido pienamente), se non che... se non che, per spiegare questa sua posizione, il filosofo inglese usa un esempio che io reputo clamorosamente infelice. Immaginate di trovarvi di fronte a una casa in fiamme, ci dice. All'interno della casa ci sono vostra madre e l'Arcivescovo di Canterbury: chi salvate? La risposta di Godwin è che la scelta moralmente più giusta è salvare l'Arcivescovo di Canterbury, in quanto più "utile" alla società nel suo complesso, e quindi meritevole di essere preposto alla nostra cara mammina. Si tratta di un pessimo esempio perchè non tiene conto delle relazioni affettive che esistono fra membri della stessa famiglia. L'uomo non vive di solo pane, nè di sole fredde idee. Per capire quella che a prima vista potrebbe sembrare un'aberrazione, dobbiamo considerare che Godwin è appartenuto a una cultura che oggi pratica il culto dello stiff upper lip, figuriamoci allora; esistono inoltre anche elementi biografici che ci fanno pensare a un uomo piuttosto cerebrale e contenuto nelle sue passioni. Meno male, quindi, che la povera madre di William non si è mai ritrovata in una casa in fiamme insieme all'Arcivescovo di Canterbury.

Oggi nessuno di noi, credo, avrebbe dubbi sulla risposta al dilemma che ho riportato. Le persone a cui vogliamo bene sono più importanti degli estranei, a prescindere dai meriti di questi ultimi. Eppure le mie gonadi oggi sono rigonfie di innumerevoli in memoriam dedicati a questo signore che io proprio non vedo perchè dovrei piangermi. Ed è proprio quando le mie gonadi si gonfiano che sento con maggiore intensità e pathos la mancanza di un affetto nella mia vita, che regoli la pressione delle mie gonadi come una sorta di gommista dell'amore terreno...

E allora, mentre voi piangete per Steve Jobs, io dedicherò un pensiero al mio criceto e ai miei due pesci rossi scomparsi durante la mia infanzia, nessuno dei quali ha inventato il Mac o l'I-pod, ma che perlomeno hanno fatto parte della mia vita. Per quanto riguarda la mia cara mamma, starò ben attento a tenerla lontana da fiamme libere e fonti di calore.



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