giovedì 30 agosto 2012

Rigoberto Saviani: an introduction

Cari amici del Bradipo, quest'oggi vi propongo un articolo scritto non già da me, ma da ben altra penna. Si tratta del giovane autore Rigoberto Saviani, mio amico personale, che ritengo destinato a un grande successo di pubblico e critica. Ordunque, gli cedo senza ulteriori indugi la parola.

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Cari amici del Bradipo, buonasera. Mi chiama Rigoberto Saviani, e sono scrittore, filosofo, matematico, elettricista, ingegnere idraulico, radbomante e sismologo. Nacqui trentadue anni fa a Muortacciso, un piccolo comune dell'agro aversano. La mia non fu un'infanzia facile. Quando ci mettevamo a tavola, io chiedevo a mia madre perchè noi dovevamo condire la pasta con la diossina invece della salsa, come tutte le normali famiglie, e lei mi rispondeva con quella sua aria stanca e sconfitta: "Rigobertino, è colpa della camorra de Napule". Era una donna eccezionale, mia madre. Quando mio padre rimase ucciso da una pallottola vagante sparata da Pascalone "'o zuzzuso" all'indirizzo di Tummasiello "capa 'e vacca", lei portò me e i miei fratelli sulla scena del delitto, sollevò il lenzuolo e ci mostrò il volto paterno sfigurato dal colpo di pistola. "Guardatelo bene, figli miei" disse. "Anche questa è colpa della camorra de Napule". Da allora giurai vendetta.

Tutta la mia giovinezza fu dedicata allo studio di questa terribile organizzazione, responsabile della stragrande maggioranza dei crimini e delle nefandezze che affliggono e hanno afflitto l'umanità. Ad esempio, voi sapevate che John Fitzgerald Kennedy è stato ucciso proprio dalla camorra di Napule? E non un trafiletto sulla "Voce di Caserta" al riguardo. Così scrissi un libro contro quella nefanda, tentacolare e spietata organizzazione, intitolato "Ora vi spiego". Fu subito un successo, manco il tempo di metterlo sugli scaffali che se lo compravano tutti. Anche Rafiluccio "musso 'e puorco" ne acquistò una copia, purtroppo: da allora la mia vita non è più la stessa. Le minacce di morte subite da questi brutti ceffi mi costringono a spostarmi di nascondiglio in nascondiglio, costantemente accompagnato e protetto da due sosia di Mario Merola che hanno abbandonato la carriera nello showbusiness per dedicarsi alla meno redditizia ma più emozionante professione del bodyguard. Quando sono con loro, sono sicuro che nessuno mi darà fastidio. Pensate che una volta, in un bar ricevitoria di Villaricca, un giovinastro aveva cominciato a prendermi in giro per via della mia parziale calvizie, e uno dei miei angeli custodi gli ha somministrato un pacchero a mana smerza in piena faccia; lo stanno ancora cercando nelle campagne del Giuglianese. Eppure, se la presenza di questi due marcantoni mi metteva al sicuro dalla camorra di Napule, limitava anche molto la mia privacy. Non è piacevole, mentre si visionano pellicole per adulti, essere osservati da due nerboruti omaccioni, che magari per ammazzare il tempo si producono in una versione a due voci di Guapparia o di Lacreme Napulitane. Inoltre, per ragioni di sicurezza non posso spostarmi a mio piacimento, nemmeno se accompagnato dalla scorta. Non posso più scorazzare con la mia Vespa sull'Asse Mediano; perchè qualcuno dovrebbe prendere l'Asse Mediano in assenza di una improrogabile necessità non mi è chiaro, ma io lo facevo, e ora non posso più.

Una volta appreso tutto, ma proprio tutto quello che c'era da sapere sulla camorra di Napule, ho deciso che era venuto il momento di accettare una nuova sfida. Così ho deciso di cominciare a scrivere articoli per un giornale a tiratura nazionale che era così disperato da comprarseli: elogi funebri, brevi ritratti d'artista, riflessioni su avvenimenti di cronaca. Li scrivevo mentre ero seduto sul gabinetto. Dovete sapere che perfino nell'atto di espletare le mie funzioni corporali devo essere guardato a vista dai miei gorilla (la camorra di Napule potrebbe colpirmi proprio quando sono più vulnerabile), e questo mi causa una certa difficoltà defecatoria. Mi ci vogliono in media dai sedici ai ventitre minuti per andare di corpo, più o meno lo stesso tempo che impiego a scrivere i miei pezzi. E allora eccomi, piegato in due per lo sforzo congiunto di espellere le feci e usare correttamente la punteggiatura, sudato e paonazzo. Mi vedete? A questo mi ha ridotto la perfida camorra di Napule.

Ma certo le minacce di questi manigoldi non mi hanno impedito di fare anche una certa vita mondana. Ho incontrato uno scrittore famosissimo che era stato anche lui minacciato di morte dalla camorra di Napule, sotto le mentite spoglie di un ayatollah con il turbante. Un'altra volta ho cenato con uno che faceva il poliziotto e si era infiltrato nella camorra di New York (naturalmente affiliata a quella di Napule) e li aveva fatti arrestare tutti. Io gli ho chiesto "ma non avevi paura?" e lui mi ha risposto che si cacava sotto, ma gli davano un fottio di soldi. A me però questa cosa è sembrata poco nobile e allora mi sono fatto scrivere un paio di arguzie politicamente corrette dai miei editor e le ho messe nell'articolo. Non so cosa farei senza i miei editor. Sono sempre lì per me, correggono le mie bozze, se mi dimentico un apostrofo o una acca apparano subito informandomi che una volta il Metastasio o il Sannazzaro hanno scritto quella parola proprio in quel modo, e io così dico e non faccio la figura di merda. Anzi, la gente dice "guarda guà, conosce pure al Metastasio!" e condivide il pezzo su Facebook.

Cos altro (sic) dirvi di me? Beh, un giorno, mentre cercavo fra alcuni documenti la prova definitiva del coinvolgimento della camorra di Napule nell'attentato alle Torri Gemelle, ho scoperto per caso di avere origini ebraiche. Da allora ho fatto mia la causa di questo popolo oppresso e senza terra, povero e senza voce. A lungo ho cercato qualche mio parente fra le vittime dell'Olocausto, senza purtroppo trovarlo; se volevo sfruttare a pieno il mio sangue israelita per farmi pubblicità, dovevo fare una delle mie sensaazionali scoperte giornalistiche. E così ho passato anni a rovistare fra polverosi archivi, seguendo una pista che all'inizio poteva sembrare folle, ma che andava prendendo consistenza giorno dopo giorno, documento dopo documento. E così, oggi posso affermare senza tema di smentita che Adolf Hitler in realtà altri non era che Franchetiello 'o baffetto, scartiloffista di Grumo Nevano trasferitosi in Germania per lavorare come pizzaiolo nel ristorante di suo cognato. La longa manus della camorra di Napule era arrivata fino al Reichstag, e aveva portato odio, morte e distruzione in tutta Europa.

Oggi le cose non stanno molto diversamente: di chi credete sia la colpa, se non potete più andarvi a fare una settimana di mare a Formia? Inutile, a questo punto, che io ve lo dica; sarei ripetitivo. So che molti parlano di fallimento dell'Euro, o addirittura dello stesso modello neoliberista; ma queste persone cambierebbero immediatamente opinione se sapessero quanto ha guadagnato Totonno "bombammano", boss di Via Foria (ma solo numeri pari) dall'aumento dello spread. Quindi smettetela di inveire contro Commissioni Trilaterali, Gruppi Bilderberg, e altre istituzioni e sigle rappresentative delle elites economiche e finanziare che governano di fatto il mondo: sono brave persone che non c'entrano niente. La colpa è di ...
Sì, bravi, avete indovinato.

A questo punto credo di avervi detto tutto quello che c'è da sapere di me, e quindi vi darei appuntamento in libreria, in edicola, su Rai 3 o a San Remo. Avremo certamente modo di conoscerci meglio.

Ah, un'ultima cosa. La locuzione "la camorra di Napule" è frutto dell'ingegno di Amleto De Silva, in arte Amlo, e pertanto sua proprietà intellettuale. Che non si dica che Rigoberto Saviani copia o plagia l'opera altrui. E se qualcuno dovesse insinuarlo, sappiate che di altro non si tratta che della macchina del fango, uno dei principali strumenti di morte e distruzione della... sì, insomma, ci siamo capiti.

lunedì 27 agosto 2012

La pita gyros e il rubicondo pizzaiolo


Sono le 11.21, sul mio personalissimo cronografo, e ho già fame. Mi mangerei un pio bove, appena uscito dalla santa messa. Crudo, e senza rimorsi di sorta. Certo, parlare di pita gyros non mi aiuta. E allora famo presto, così dopo vado a strafocarmi quello che c'è in cucina, non escluso il mobilio.

Parliamo di libertà di scelta, mettiamola così. Diciamo che mi viene un certo languorino, e siccome non ho l'autista devo soddisfarlo in modo autonomo. Diciamo che mi piace la pita gyros. Dunque, la scelta più ragionevole sarebbe quella di dirigermi verso il più vicino ristorante greco e ordinarne una. C'è però un problema: il ristorante greco non va più di moda. Sì, diciamo che un potentissimo cartello di ristoranti italiani ha visto nei loro omologhi greci una minaccia inaccettabile alla propria supremazia culinaria, e ha condotto uno spietato kulturkampf contro di loro. Una lotta senza quartiere, casa per casa, spiedo per spiedo, che ha ridotto la presenza di questo tipo di esercizi a pochissime catapecchie, lontane l'una dall'altra e in competizione fra loro. E allora io mi dirigo verso il più vicino ristorante italiano, e mi accomodo al tavolo indicatomi dal cameriere. Quando mi si chiede cosa gradisco, rispondo "pita gyros", perché ho una voglia irrefrenabile, un bisogno di quella pietanza. Il cameriere ha fatto una smorfia, o almeno mi è parso, quando ha sentito quelle due paroline di ellenico idioma. Ma è molto professionale, non batte ciglio, e si dirige verso la cucina con la mia ordinazione.

Un quarto d'ora dopo, dopo essere stato distratto con grissini, impalpabili antipasti di frittura mista e un programma di calcio in cui si discuteva dell'ennesimo rigore inesistente dato alla Juve, mi vedo presentare un abominio che sta alla pita gyros come Zuniga sta a Garrincha. Quello che io non so è che lo chef, bofonchiando contro la mia scelta antistorica, in un mondo in cui i ristoranti greci sono tabù, ha fatto una pizza nel forno a legna, ci ha messo sopra due cipolle, due patatine, un pomodoro a fettine e qualche pezzettino di pollo, la ha arravogliata in un cuoppo di quelli che normalmente usa per la frittura, e ci ha spruzzato un po' di maionese al posto dello tzatziki.

A questo punto, cosa dovrei fare io? Lamentarmi? Protestare? Ma l'errore alla base non è stato commesso proprio da me, che pretendevo di mangiare la pita in un ristorante italiano? Cosa ne sa un pizzaiolo di Casoria della pita gyros? La fame, nel mio caso, avrebbe dovuto essere accompagnata dalla consapevolezza di un torto subito: la guerra ai ristoranti greci era, in ultima analisi, una guerra al mio diritto di mangiare la pita gyros. Non siamo stati noi, clienti dei ristoranti, che abbiamo messo la pita fuori dalla storia, ma la perfida lobby dei ristoratori italiani. Loro sono il nemico della mia fame di pita. E allora io dovrei alzarmi, uscire dal ristorante e non mettere mai più piede in un esercizio della pizza connection. Risolvermi a frequentare, d'ora in poi, le bettole tristi e desolate dove si mangia la vera pita gyros, e praticare una certa diffidenza ogni volta che un rubicondo pizzaiolo aprirà bocca per parlare di cibo.

Perchè alla fine questo è il senso della mia libertà: il diritto di mangiare a sazietà, e di scegliere la pietanza di cui cibarmi. Libertà, democrazia, giustizia sono parole che riempiono la bocca di tanti rubicondi pizzaioli. Ma le parole riempiono la bocca, non lo stomaco. E se la pita era alla portata di tutti, non c'è un solo piatto sul menù del ristorante Bella Napoli che non costi sudore, rinunce, umiliazione, perdità di dignità. Vorrei comunicare questa semplice verità ai miei commensali, ma non riesco a catturarne l'attenzione: sono troppo distratti dai grissini, le fritturine e la moviola di Pistocchi per accorgersi di avere lo stomaco penosamente vuoto.

E comunque, il rigore non c'era.

giovedì 23 agosto 2012

I piccoli passi che ti lasciano sul posto.






"Adelante, Pedro, con juicio". Queste le parole pronunciate da un nobilotto spagnolo nei mai abbastanza bestemmiati Promessi Sposi, quando la sua carrozza si trovò di fronte al popolo milanese in tumulto. Come a dire: chi va piano va sano e va lontano. Questa è evidentemente anche la filosofia del presidente della SSC Napoli, Aurelio De Laurentiis, a.k.a. il Cazzaro di Castelvolturno. E lo sappiamo bene, ormai, visto che ce la propina da otto anni, in tutte le salse possibili e immaginabili. Questa politica si è dimostrata vincente, per i primi tempi, quando gli obiettivi da centrare erano francamente più che alla portata. Per il Napoli (perchè, nonostante il fallimento e il cambio di nome, quello continuava a essere il club principale della capitale del Mezzogiorno) tornare in A era un compito piuttosto semplice. Un po' come se il vostro Bradipo andasse a fare un esame di inglese facile facile, come questo. Drogatemi, privatemi del sonno e concedetemi la metà del tempo concesso agli altri candidati: lo supererò ugualmente. E se qualcuno dopo si complimentasse con me, gli riderei in faccia.

E dunque arrivò la Serie A, e subito la qualificazione alla Uefa. Niente di strano, è quella la dimensione che ci compete.  In un campionato così disastrato, in cui il livello tecnico si è così drammaticamente abbassato, finire più in basso del sesto posto va considerato un fallimento, per un club con un bacino d'utenza come il nostro. Per ottenere questi risultati, non è stato necessario svenarsi; sono bastati calciatori discreti, di seconda fascia. Poi capitava anche che magari un giovane promettente esplodesse tra gli applausi del San Paolo, e allora cominciava il tira e molla a ogni finestra di calciomercato, perchè sarà anche vero che chi va piano va sano e va lontano, ma se qualcuno mi offre il doppio dei soldi per fare il mio lavoro, io saluto e me ne vado. Lo fareste voi, lo farei io, lo farebbe qualsiasi persona ragionevole. Lo hanno fatto Lavezzi e Gargano. E da più parti si paventa la possibilità che possa farlo anche la nostra punta di diamante, il Matador Cavani.

E così, stamattina leggo su uno dei duemila blog mal scritti e mal informati dedicati al Napoli, che ci sarebbe malcontento fra i tifosi. E vivaddio! Finalmente l'avete capito che questo è un imbonitore che vuole solo fare soldi con il Napoli! Bene, meglio tardi che mai. Mi stupisce, se devo essere sincero, che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stata la cessione di Walter Gargano. Non di Andrea Pirlo, ma di Walter Gargano. Certo, quando per anni la stampa ha martellato dicendoci che era un grande giocatore...
Quante fesserie dicono i giornalisti. Non se ne ha idea. Gargano corre come un dannato, recuperando un numero di palloni più o meno equivalente a quelli che perde con passaggi fuori misura. Lo ritengo equivalente a un giocatore che recupera meno palloni, ne perde di meno, e corre il giusto. Gargano è un buon giocatore di seconda fascia, punto. Esserci privati di Lavezzi a 30 milioni è un affare per noi. Di un attaccante che corre a perdifiato e alla velocità di un Eurostar, ma che ha una tecnica di tiro decisamente imperfetta, ed è carente in termini di freddezza sotto porta. Perchè ve la prendete per queste cessioni? Ve lo dico io perchè. Perchè, a fronte di queste due partenze, sono arrivati Gamberini e Behrami, ovvero i soliti discreti giocatori di seconda fascia. Il passo in avanti, per quanto piccolo, non c'è stato. E, visto che la società si ostina a non acquistare un altro terzino, la prima di campionato la dobbiamo giocare con Aronica sulla fascia. In caso di squalifiche o infortuni per Cavani, a meno di colpi di mercato in questi ultimi giorni, ci toccherà sorbirci ancora una volta Vargas. Uno che quando vede Ghostbusters non ride, ma ha paura: paura di finire nel flusso incrociato dei tre simpatici acchiappafantasmi.

Questi non sono piccoli passi, questa è la corsa del mimo, che simula il movimento senza andare da nessuna parte. Quando leggete le solite cappellate dei soliti giornalai sul libro paga di De Laurentiis (pagare i giornalisti conviene rispetto a pagare i campioni) sul Napoli che lotterà per lo scudetto, abbiate il buonsenso di non prenderle sul serio. Lo scudetto è un traguardo ancora arduo, nonostante tutto, e l'anno prossimo andrà con tutta probabilità alla Juventus, l'unica squadra che non stia vendendo fra quelle che giocano per vincere. Noi? Noi esistiamo per arricchire Babbo Aurelio, vi è chiaro adesso? Con i soldi della cessione di Lavezzi lui ci fa il remake di Ben Hur, e mette Boldi e De Sica a guidare le bighe. E i tifosi del Napoli, quelli più ignoranti e abbrutiti, provenienti da quel sottoproletariato il cui livello intellettivo non va oltre "o frà, e caì", se lo vanno pure a vedere, fra l'incendio di un cassonetto e un cavallo a 150 all'ora sulla curva della morte di Via Petrarca. E continuano a riempire le tasche di questo straordinario mimo, illusionista e imprenditore dell'occulto.

martedì 21 agosto 2012

La cicala e le formiche.



Cari lettori, buon pomeriggio. Fa un caldo allucinante, qui a Napoli, oggi 21 agosto. Eppure, come potete constatare, sono al PC per donarvi un altro scampolo di saggezza e acume critico. E sappiate che, fin quando non mi renderete gli elogi che merito, continuerò imperterrito ad autoincensarmi.
Oggi vorrei parlarvi di una favola: quella del self-made man, dell'uomo che fa successo grazie al proprio ingegno e alla propria industriosità. E ve la voglio raccontare partendo da un'altra favola, ovvero quella a cui alludo nel titolo. Nel caso che non la conosceste, eccone un breve riassunto.

I protagonisti della nostra favola sono la cicala e le formiche. LE formiche, al plurale, perchè per consentire a una cicala di fare la bella vita senza alzare un dito, è necessario che tante formiche sudino sette camicie (ovviamente metaforiche, poichè sappiamo bene che le formiche non indossano indumenti). Già qui, come vedete, la favola originale non regge al riscontro della realtà. Come potrebbe una cicala sopravvivere all'inverno con le provviste di una sola formica? Dunque, LE formiche.

Proseguiamo. La formica lavora di gran lena, pensando che in questo modo durante l'inverno non dovrà patire il freddo o la fame. Quando la cicala si presenta alla porta della formica, questa le nega il suo aiuto, e la cicala accetta questo rifiuto. Ecco un'altra assurdità: se la cicala vuole ciò che è della formica, se lo prende e basta, forte della sua stazza decisamente maggiore. Del resto, è proprio il lavoro delLE formiche, come abbiamo visto, che consente alla cicala di fare la proverbiale ricotta.

E allora ecco cosa accade, nella nostra favola alternativa: la cicala crea un enorme formicaio, pieno di formichine, fonti di cibo, e labirinti da percorrere per recuperare la mollicihina di pane e riportarla alla tana. Questo enorme formicaio, per quanto sconfinato, è ben delimitato da pareti di vetro: in questo modo, fin quando una formica non prova ad andare oltre i limiti della propria cattività, non si accorgerà neanche di essere in una prigione. E, di tutto ciò che le formiche accumulano con il LORO lavoro, solo una piccola parte rimane alle nostre amiche, mentre il grosso va alla cicala. Quest'ultima sottrae la ricchezza prodotta dalle alacri operaie con sistemi sofisticati, talmente sofisticati che spesso le formiche non si rendono nemmeno conto di lavorare per arricchire qualcun altro. E comunque, dal momento che la cicala si occupa del formicaio, lo tiene in ordine, e lo riempie di diversioni per distrarre le formiche nelle poche ore di svago, queste guardano al perfido musicante come a una sorta di padre benevolo, anziche come a un aguzzino e uno sfruttatore. E siccome (e questo è il punto più importante) la cicala lascia che alcune formiche accumulino per se stesse qualche mollica di pane in più di altre, queste tendono a pensare che l'arricchimento personale sia il giusto premio del lavoro e del merito. Se una formichina ha di più, è perchè ha trascinato più mollichine nella tana, in virtù del maggior tempo dedicato al lavoro o di una migliore tecnica di trascinamento. E così le formichine si contano le loro mollichine, mentre la cicala accumula pagnotte su pagnotte, con cui costruirà altri mille formicai come il primo.

Ora proviamo a immaginare come vivrebbero le formiche in assenza della cicala. Beh, non è necessario immaginarlo. Sappiamo che la loro organizzazione sociale è una delle più complesse ed efficienti del mondo animale. E sappiamo che, attraverso la cooperazione, riescono a sopravvivere e prosperare come specie, pur essendo fra i più deboli anelli della catena alimentare. La forza delle formiche è nell'unione, nella dedizione al benessere della comunità, e dunque di ogni membro di essa. Nessuna cicala busserà mai alla porta di queste formiche, liberamente associate e votate al bene comune, perchè in tal caso si vedrebbe aggredita da centinaia, migliaia di agguerrite nemiche, e sarebbe scarnificata nel giro di pochi minuti. Formiche e termiti, come faceva notare un naturalista sovversivo di inizio Novecento, hanno rinuciatoalla "guerra hobbesiana", e se ne sono avvantaggiate. Noi, con oltre un chilo di cervello nella scatola cranica, continuiamo a contare le nostre misere mollichine, a vantarci di averne raccolta qualcuna in più e dare del fannullone a chi ne ha raccolta qualcuna in meno. E la cicala, intanto, se la ride e si conta le pagnotte. Fino a quando, s'intende, le formiche non capiranno che non hanno alcun bisogno di cicale e pagnotte, ma solo della giusta quantità di molliche, e di poter contare l'una sull'altra. Quel giorno, se fossi una cicala, non mi farei vedere in giro.


lunedì 20 agosto 2012

Non basta...


Basta, non ce la faccio più! Siamo giunti al limiti della mia sopportazione!
No, cari amici, non parlo del caldo. Quello, seppure feroce e spietato, lo tengo a bada con il semplice ausilio di un ventilatore. Quello che ha colmato la misura è la quantità di scempiaggini che si dicono e scrivono sull'operato del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.

Se seguite questo blog, saprete che l'ho sostenuto durante la sua campagna elettorale, e immediatamente dopo. Mi piaceva il suo stile, perchè mi faceva sperare in una rottura rispetto all'orientamento delle amministrazioni comunali Bassolino e Jervolino. Oggi, a più di un anno dall'insediamento di Giggino, devo dire che mi ero sbagliato. La rottura non c'è stata.Ci troviamo di fronte a un altro furbacchione, abile utente di strumenti mediatici e illusionista paragonabile, udite udite, al mai abbastanza vituperato cazzaro di Castelvolturno, Aurelio De Laurentiis.

I primi sospetti sul conto dell'ex-magistrato furono ingenerati lo scorso autunno dalla discutibile decisione di far fuori Raphael Rossi per agevolare le magagne del vicesindaco Sodano. Il problema del lavoro è drammatico in questa città, ma è umilissima opinione di chi scrive che non vada risolto tramite il solito vecchio clientelismo. Il politico che "sistema" i suoi amici e parenti, a prescindere dalla loro adeguatezza o meno al ruolo che dovranno svolgere, non rende un buon servizio alla collettività.

E va bene, direte voi, la politica è fatta anche di compromessi. Solo che a me sfugge, sarò tardo di comprendonio, ma proprio mi sfugge che beneficio tragga la città nel suo complesso da certi compromessi. E soprattutto, mi sfugge in che modo Napoli possa diventare una città migliore in cui vivere tramite una serie di interventi di facciata, nella totale assenza di un progetto organico. Non vedo grande differenza, ahimè, fra la chiusura di P.zza Plebiscito operata da Bassolino e il Lungomare Liberato sbandierato da Giggino come una grande vittoria sulle orde del male. Non mi risulta che vi fossero guarnigioni di lanzichenecchi di stanza a via Partenope, nè che il bellissimo Castel dell'Ovo fosse stato occupato dall'ennesimo invasore venuto dal mare. Non guido l'automobile, l'ho sempre trovata un fastidio da gestire piuttosto che una comodità; eppure non mi scaglio con il fervore di un ayatollah nei confronti di chi si serve di questo mezzo di trasporto.Certo, sarebbe bella una Napoli senza macchine, ma solo se il trasporto pubblico supplisse efficacemente alla loro assenza. Per il momento, credo possiamo essere tutti d'accordo su questo punto, siamo ancora lontani.

Ma il consenso non si conquista con i fatti. Eh, no. In una società che si abboffa di reality e si va a vedere i concerti di bellimbusti e pupe lanciati da Amici e dal Grande Fratello, la comunicazione è tutto. E allora eccolo, il nostro bel sindaco fustacchione, a fare il bagno nel grottescamente inquinato mare di Via Caracciolo, nell'occhio di decine di macchine fotografiche. A quando una trebbiatura del grano?

Uomo di spettacolo, il nostro primo cittadino, proprio come il succitato cazzaro, che quest'anno ha venduto Lavezzi prendendo Gamberini e Behrami. E ci sono deficienti che continuano a parlare di scudetto al Napoli. Ebbene, rendetevi conto che lo scudetto al Napoli è probabile quanto la rinascita economica di questa città grazie al turismo. Insomma, detto in parole povere, questi due furbacchioni fanno 10 e ti fanno credere di aver fatto 100.

Come fanno a riuscirci? E veniamo  alla triste conclusione del mio ragionamento: perché siamo un popolo sconfitto, stanco e rassegnato alla mediocrità. Tutti gli italiani lo sono, e i napoletani in particolar modo. Sì, l'anno scorso in campionato non siamo andati benissimo, ma del resto nel 2004 eravamo in serie C... La città continua a essere invivibile? Certo, ma lo è sempre stata, no? Almeno adesso non ci sono più le milizie di Ferdinando d'Aragona a Via Caracciolo... 

Sapete che vi dico? A me non basta. Dovete fare di più. Voglio guardarmi le partite di una squadra che lotta per lo scudetto, in una città invasa dai turisti come le formiche hanno invaso la mia cucina in questi giorni. Voglio andare allo stadio con i mezzi pubblici a guardare il Napoli giocarsi una semifinale di Champion's League contro una squadra la cui tifoseria  non abbia subito accoltellamenti. Voglio andare a lavorare, la mattina, nella mia città, sentendo il profumo del gelsomino e non quello del percolato. E, tornando a casa dopo una giornata di proficua attività, pensare a quanto sono fortunato a essere nato a Napoli.

sabato 11 agosto 2012

Pechino val bene una farsa ... Ne siamo sicuri?

Comincio a scrivere questo post mentre la partita è ancora in corso. Abbiamo subito l'espulsione di Pandev e Zuniga, più quella di Mazzarri, e Maggio ha effettutato una involontaria quanto sfortunata deviazione su un cross di Pirlo, mi pare, sul quale De Sanctis è uscito a vuoto. 
Per trovare un arbitraggio così grottesco devo fare riferimento a un celebre film, forse il più bello che avesse come protagonista il gioco del calcio: "Fuga per la vittoria". Mi sembra che si stia affrontando la selezione della Germania nazista nella Parigi occupata. Ecco, arriva anche il 4-2 di Vucinic. Ormai si maramaldeggia su un Napoli che si voleva sconfitto. 

Siamo abituati alla sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti dei club più blasonati, Juventus in primis. Qui però siamo di fronte a qualcosa di più: un match il cui esito era evidentemente deciso già prima del fischio di inizio. Il calcio, lo sappiamo bene, è al 90% interesse economico. E non c'è niente di strano, in un mondo che ha eretto il profitto e la ricchezza a valori assoluti, a divinità da venerare. C'è però un rischio: quello di ridurre questo bellissimo giuoco, e dico giuoco, a una insulsa pantomima. Il calcio non è il wrestling, e non deve diventarlo. Capisco che un successo della Juventus in questa finale pechinese, in uno stadio quasi interamente colorato di bianconero, sia nettamente auspicabile dal punto di vista economico: il calcio vede nella Cina un mercato da conquistare, e per farlo ha bisogno di coinvolgere i novelli appassionati dagli occhi a mandorla. Se la Cina vuole che la coppa la alzi la Juve, la coppa deve alzarla la Juve. Ma noi italiani, che il calcio lo guardiamo e lo seguiamo da sempre, e siamo certo più smaliziati del signor Cheng Li Wang di Canton, di fronte a spettacoli del genere rimaniamo quanto meno perplessi, basiti, propensi alla bestemmia e a un rabbioso quanto vano percuotere il mobilio con pugni e calci. E allora attenti, cari signori faccendieri del pallone, a non perdervi per strada noi, nella vostra folle rincorsa ai soldi di arabi, cinesi e di chiunque altro abbia denari da spendere per assistere a scempi del genere senza esserne disgustato.

Ricordo le mie vacanze a Roccaraso, da bambino. Ricordo il Pratone, e tutti i palloni rincorsi sulla sua erba incolta. Ricordo le partite di tre ore, mia madre che si affrettava a farmi infilare il pulloverino subito dopo la mia uscita dal campo, per non farmi raffreddare. E ricordo il parco "La Pineta", a due passi da casa, con il suo campetto parte in asfalto e parte in terra battuta. Ricordo che una delle porte era l'imbocco di un viale in discesa, e che ogniqualvolta si segnasse da quel lato bisognava anadre a recuperare il pallone chissà dove. Ricordo gli album Panini, il primo abbonamento nel settore "Distinti", a 13 anni, la poesia di Diego Armando Maradona, le poderose accelerazioni di Careca, la grinta di Bagni. Ricordo 90° minuto, la Domenica sportiva, la voce rauca di Sandro Ciotti, l'italiano improbabile di Helenio Herrera, le partite seguite alla radio, con l'immancabile sottofondo del tifo negli stadi stracolmi in ogni ordine di posti. Ricordo la grande professionalità dei giornalisti sportivi.
Ricordo tutte queste cose, e cerco di non pensare a quello che ho visto oggi. Intanto, la partita è finita. E al giouco del calcio, se continua così, non manca molto alla fine.