giovedì 31 ottobre 2013

Il catechismo


Io lo dico sempre che sono ignorante e vorrei essere edotto. Capisco qualcosina, e vorrei capire di più. Quando qualcuno dei miei lettori ha pensato, forse perché i toni ironici e scanzonati che spesso uso possono essere fraintesi, che volessi mettermi a fare il maestro di vita o qualcosa del genere, ho aggiunto al titolo di questo blog la dicitura "confessioni di un fesso reoconfesso". Dunque, non c'è bisogno che me lo facciate notare. Non sono un capoccione, e non aspiro a esserlo. Mi basterebbe capire il 30-40% di quello che c'è da capire. Sarebbe già un ottimo risultato.

Dicevamo, ho sete di conoscenza. Ma non di mere e aride tassonomie, o di interminabili sequele di articoli di fede. Eh, no. E qui la cosa si complica. Ho sete di un tipo di conoscenza che in questo paese - me ne rendo conto ogni giorno di più - non ha molti fan. Perché se io mi identifico con la mia storia personale, per quanto faccia schifo, con i miei ricordi, i miei affetti, e d'altro canto anche con i miei errori e i miei insuccessi, molti intorno a me si ostinano imperterriti a identificarsi con entità intangibili e astratte. Hanno fede. E la fede, si sa, va dimostrata credendo in proposizioni astruse. O' Brien, il perfido torturatore di Winston Smith in 1984, pretendeva che la sua vittima credesse che lui gli mostrava un numero di dita diverso da quelle che effettivamente aveva alzato. Non bastava che lo dicesse. L'essenza della fede è proprio questa: condividere un'immagine della realtà clamorosamente deformata. Non riesco a pensare a niente di più efficace per compattare un gruppo.

Recentemente ho avuto modo di collaborare a un progetto pomeridiano in una scuola napoletana. Il fato, come si sa beffardo, ha voluto che proprio io dovessi aiutare due ragazzini sui dieci anni a fare i compiti per il catechismo. Io, che tra le poche fortune ho avuto quella di non essere mai stato mandato a farmi indottrinare dai preti (con tutto il rispetto per chi crede), guardavo il mio compagno d'ateismo più vicino e ridevo. Eppure, svolgendo quei semplici esercizi e osservando il coinvolgimento dei pargoli negli stessi, ho compreso il sottile piacere che li animava, al punto di spingerli a tirare fuori i libri senza che nessun adulto glielo intimasse. Si sentivano appagati dal fatto che attraverso l'apprendimento di quelle semplici nozioncine stavano diventando parte di una comunità, una "congregazione", come dicono gli anglosassoni.

Io sono un tipo strano. Di fare branco non me ne è mai fregato molto. Mi sento a disagio, come tutti, quando sono circondato da persone che si trovano su un'altra lunghezza d'onda. Solo che a me non basta il catechismo. E allora me ne sto a casa da solo, leggo, immagino. I commune with the dead and their wisdom, potrei dire nella mia splendida lingua acquisita, che amo perché mi ha dato nuovi orizzonti. Provo un senso di comunanza nel leggere gente morta e saggia. Mi rendo conto, con uno stupore che talvolta rasenta la commozione, che alcuni di loro capiscono il mio presente più dei miei conemporanei. 

E così mi abbevero a questa conoscenza e a questa comprensione che mi isolano e mi precludono quella categoria dell'ecumenico che agli italiani, tanto spesso cattolici senza rendersi conto di esserlo, piace da morire. "Scusate, non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera" cantava Guccini, prendendosela con chi si era fatto chiudere il cuore da una morale. Si era dimenticato, evidentemente, di menzionare chi si fa chiudere il cervello da un credo.  

Provo fastidio ogni volta che leggo uno status di Alessandro Di Battista su Facebook. Non perché trovi sbagliato quello che scrive. Tutt'altro. Perché, se è vero che esistono una saggezza e un'umanità infinite in tutto il pensiero e la letteratura socialista (intendo il termine nel senso più ampio, di nuovo, come lo intendono gli anglosassoni), è anche vero che oggi di questo pensiero non resta che il catechismo nell'azione e nel discorso della "sinistra". E questo mi rattrista. Perché, per quanto saggi siano i morti, il mondo lo cambiano i vivi. E io Cristo non voglio adorarlo nella morte, voglio farlo scendere dalla croce.

lunedì 14 ottobre 2013

Il bianco, il nero, e mille sfumature di grigio

Elio Petri mi scuserà se lo contraddico, ma io sono convinto che la proprietà sia ancora un furto. Da quando ho letto il libro proibito dell'arabo pazzo, in cui si esponeva questa massima, non ne ho mai dubitato. No, è inutile che lo cerchiate su Google, non è al famigerato Necronomicon di lovecraftiana memoria che mi riferisco, ma a un'opera che non oso menzionare, temendo che i compagni più ortodossi mi diano del petit bourgeouis e si rifiutino di farsi vedere al mio stesso tavolino, sotto i fronzuti olmi di un certo ritrovo di perdigiorno vomeresi. Dicevo, la proprietà è ancora un furto, e il mondo si divide ancora in chi lavora e chi ruba. A queste due categorie corrispondono logiche, etiche, visioni del mondo contrapposte e inconciliabili. Tutto questo è vero oggi come lo sarà domani, e fino a quando esisteranno lavoratori e ladri.

Come si spiega, allora, che la più dinamica forza politica italiana degli ultimi 20 anni (se non di più) sia nata sul principio che "le ideologie sono morte"? Come si spiega il suo ostinato attaccamento al concetto di superamento di Destra e Sinistra? Per provare a dare una risposta a queste domande, il vostro umile servo ha immaginato un'allegoria.

Pensiamo a un pittore che abbia nella sua tavolozza solo due colori di base: il bianco e il nero. Se l'artista in questione non è proprio lento di comprendonio, li mescolerà per ottenere varie sfumature di grigio, che accosterà al bianco e al nero nella creazione della sua composizione. Quello che l'occhio vede è un po' di bianco, un po' di nero, e molto grigio. Quello che c'è nel quadro è esclusivamente pittura bianca e nera. 

Le ideologie non sono affatto morte. Non esiste agglomerato umano privo di ideologia, dal più piccolo villaggio di pescatori della Groenlandia alla più sconfinata metropoli asiatica. Quello che è accaduto è che, formandosi e crescendo all'interno delle normali dinamiche di sviluppo capitalista, un ceto medio, in Italia come altrove, il bianco e il nero si sono mescolati. E, poichè ogni ideologia è funzionale all'autoidentificazione e alla perpetuazione della classe sociale che la genera, il ceto medio ha prodotto un'ideologia "grigia". Eppure quel grigio non esiste di per sé: è solo una mescolanza di bianco e nero.

Di fronte a eventi inaspettati, che sfuggono ai nostri schemi di riferimento, ai nostri modelli cognitivi, ci troviamo di colpo messi di fronte al bianco e al nero. La tragedia di Lampedusa (il primo dei due gravi naufragi che si sono purtroppo succeduti a breve giro) è stato uno di quegli eventi. Comprensibilmente, e inevitabilmente, la fregnaccia del post-ideologico (con tutto il rispetto per chi ci crede) si è sciolta come neve al sole. Il gruppo M5S al Senato ha fatto una scelta coraggiosa, della quale vado fiero come elettore pentastellato. La sconfessione venuta dal duo Grillo-Casaleggio è stata un gesto inopportuno e miope: tu che ti proponi come forza a suo modo rivoluzionaria non puoi contrappore il grigio al bianco e al nero. Non c'è bisogno che io mi dilunghi su un'analisi di questa gestione disastrosa del dissenso, lo ha già fatto benissimo Andrea Scanzi in questo ed altri articoli.

Adesso il Movimento, che io ritengo molto di più che non una falange armata di palmari al servizio dei suoi leader (altrimenti non lo avrei certo votato), deve prendere atto che è venuto il momento di abbracciare una visione del mondo. Se proverà ad oscillare fra i due estremi del bianco e del nero, a seconda della convenienza del momento, perderà il suo slancio rivoluzionario, la sua ragion d'essere, e quindi i suoi voti e il suo potere. Deve scegliere se stare con i lavoratori o con i ladri. Con i migranti o con i Tinazzi. Con i tossicodipendenti in astinenza lasciati a farsela addosso e gridare di dolore in una cella o i discutibili ideologi. E rendersi conto che, in ballo, c'è molto, ma molto di più dei rimborsi elettorali o delle auto blu.


domenica 13 ottobre 2013

Quando si dà l'amnistia al cervello...

 Poco prima di iniziare a scrivere questo post, ho letto uno status su Facebook. Era di una persona che non so neanche come è finita fra i miei amici. Diceva più o meno così: essere contro l'indulto e l'amnistia perchè favorirebbero Berlusconi è sbagliato, perchè i ricchi non sanno neanche cosa sia la galera. A parte il fatto che Berlusconi rischia non certo la galera, ma l'affidamento ai servizi sociali o, in alternativa, gli arresti domiciliari, c'è un'altra serie di considerazioni da fare.

Indulti e amnistie non rappresentano possibili soluzioni del problema carcerario, che si può forse riassumere in una semplice formula: in galera ci sono le persone sbagliate. Questo non per una cattiva applicazione delle norme, ma proprio perchè le norme sono fatte male. La criminalizzazione dei migranti e dei tossicodipendenti ha riempito le nostre carceri di persone che lì dentro non avrebbero dovuto mai finirci. Possiamo svuotarle, quelle carceri, con provvedimenti d'urgenza, ma dovranno passare solo pochi mesi perchè siano di nuovo stracolme, in molti casi delle stesse persone che erano state liberate. 

Questo status, con il suo semplicismo e la sua ingenuità, mi ha fatto pensare a qualcosa che mi era capitata sotto gli occhi ieri sera, sempre su quel meraviglioso giardino zoologico del pensiero umano che è il succitato social network. In quest'altro aggiornamento, corredato da una simpatica immagine satirica di Grillo e Casaleggio, si ipotizzava che i due leader dei 5 stelle non dicessero "che la galera è un abominio" per non perdere i voti della classe media. Questa formulazione illustra ancora meglio l'atteggiamento intellettuale di cui vorrei discutere.

Qualsiasi idea filosofico-politica, per essere degna di considerazione, deve nascere da uno studio rigoroso della realtà, e dall'applicazione corretta di dati principi. L'idea che il carcere sia un abominio, che io pure condivido, nasce evidentemente da un'analisi delle cause della sua esistenza, e dei meccanismi che, quando quell'idea ha cominciato a farsi strada, portavano in galera quasi esclusivamente poveri cristi e oppositori politici di regimi autocratici. Dunque, l'idea che il carcere sia un abominio è indissolubilmente legata, in quanto idea filosofico-politica e non mero slogan, all'idea del sistema di produzione capitalistico come sistema di oppressione di una classe sulle altre. Allo stesso modo, da una prospettiva libertaria, potremmo dire che il governo - qualsiasi tipo di governo - è un abominio. Ma pensare che l'abolizione immediata di qualsiasi forma di governo possa essere oggi parte di una qualsiasi piattaforma politica ti colloca di fatto nel campo dell'anarchismo più puro e itransigente, un'idea bellissima, ma politicamente inerte.

C'è quindi un'altra caratteristica che un'idea politica dovrà avere, così ovvia che uno potrebbe credere addirittura superfluo esplicitarla: l'utilità a trasformare la realtà nel senso desiderato. Se oggi abolissimo le carceri, faremmo uscire migranti e tossicodipendenti, ma anche gente che sotterra rifiuti tossici in discariche abusive, ruba il denaro pubblico, taglieggia il commercio al dettaglio e via dicendo. Se vogliamo ragionare, e non ripetere semplicemente formule ideologiche, dobbiamo dire con Thomas Paine che i governi, con tutti i loro apparati repressivi, sono un male necessario. Il giorno in cui si potrà fare a meno di poliziotti, magistrati e galere sarà il giorno in cui non saranno più funzionali alla gestione dell'ordine; o, per dirla in altro modo, il giorno in cui avremo un ordine fondato su altri principi.

Questo ordine, ahimè, non è dietro l'angolo. Provare anche soltanto a immaginare un corso di azione politica che possa mettere in moto un processo di transizione verso un assetto socio-economico più giusto è impresa non da poco.  Personalmente dubito che l'ossessiva ripetizione di slogan possa essere utile in tal senso, tanto più quando quegli slogan non fanno presa che su una sparuta minoranza di persone. Quello a cui servono questi slogan è cementare gruppi di opinione già formati, e fornire un senso di continuità a chi non capisce le trasformazioni che gli cambiano il mondo sotto gli occhi, e impreca contro di esse. Le opportunità non saranno riconosciute e dunque verranno sprecate, ma la "nicchia di mercato" resisterà, e i "piccoli profeti" rimarranno in sella al destriero dello sterile primato morale che nutre il loro narcisismo.

E va bene, se è questo che volete, servitevi pure. Continuate a "guardare il mondo da un oblò", e ad astenervi dal ragionamento politico come se fosse il più nocivo dei vizi. In nome della libertà, date l'amnistia al cervello. Ma poi, per pietà, risparmiateci le prediche. Il luogo dei culti esoterici non è la piazza. Non meravigliatevi, perciò, se venite ricacciati sempre di più nelle catacombe.

giovedì 10 ottobre 2013

Come la giri e come la volti...

C'è una buona parte del paese che si ostina a non capire un semplice fatto: se il M5S non si arricetta, come dicono a Stoke on Trent, "l'Italia giusta", quella che di faticare non gliene parlate proprio, abbarbicata a privilegi semifeudali ammantati di ammuffiti drappi rossi, rimane senza l'osso. Qualsiasi cosa scrivano questi signori e i loro praticanti a 5€ al pezzo, la sostanza è: giù le mani dalla scuola privata di mio figlio, dal corso di fitness di mia moglie, e dalla mia amante ucraina venticinquenne, bionda e con un metro e mezzo di coscia.

Perfino all'indomani di una prova di maturità del M5S, che al Senato propone l'abolizione del reato di clandestinità, si preferisce sottolineare la "scomunica" di Grillo e Casaleggio. Questo è un articolo che mi è capitato sotto gli occhi un'oretta fa. Dunque, quello che dice Beppe Grillo, che fino a prova contraria non ha cariche politiche di alcun tipo, è più importante di quello che fanno i senatori eletti nelle liste pentastellate. Il fatto che gente che si definisce "di sinistra" riprenda questo genere di discorso è assolutamente desolante.

Proprio quando emerge, finalmente, una posizione valorialmente "compagna" all'interno di questi tanto vituperati cinquestelle, i "compagni" si girano dall'altra parte, giusto per non perdersi neanche un minuto del loro passatempo preferito, ovvero parlare male di Grillo. Secondo me vi ha fatto male leggere la stampa post-comunista. Non avete studiato. Non ricordate che è il segno che si decifra, mentre l'apparenza non si deve assolutamente decifrare. E voi giù a decifrare l'apparenza. Peppegrillo qua, Peppegrillo là. Nel frattempo nascono reti di cittadini che fanno politica attiva, e si costruiscono una coscienza politica. E voi giù a protestare perchè hanno espulso Tizio e Caio.

Al di là delle burle, qual è la sostanza del M5S? L'attivismo. Il passaggio dal concetto di democrazia rappresentativa, ormai penosamente e chiaramente inadeguato a lavorare per il cambiamento sociale, a quello di democrazia partecipativa. Voi guardate la testa del serpente (non quello di Conrad eh!) e non il suo lungo corpo. E non tenete conto del fatto che qualsiasi movimento politico, come i rettili, ha un cervello nella testa, ma ne ha uno anche nella coda. E, a differenza dei serpenti, i movimenti politici possono anche, al limite, scindersi. 

Insomma, proprio mentre una parte importante del Movimento assume una posizione sgradita a peppegrillocasaleggio, quella mitica creatura metà uomo metà cartellino rosso, dimostrando così una crescita politica che era fisiologica quanto auspicabile, voi continuate a sparare alla testa del serpente. Intendiamoci, per me potete sparare quanto volete. Siete voi a non aver capito che il cervello della coda sta aumentando in termini di volume e capacità di azione. Siete voi quelli che, come la giri e come la volti, la conclusione è sempre che Grillo puzza e Casaleggio è un agente del Male. E diciamolo pure. Intanto, se il reato di clandestinità verrà effettivamente abolito, sarà per iniziativa del gruppo pentastellato al Senato. Giratela come volete, la frittata. Sappiate che il pitone può rimanere digiuno anche un mese, ma quando mangia si mangia la vacca. Altro che frittata.

domenica 6 ottobre 2013

Le professoresse, gli scolaretti e la Storia che fa filone


"Grillo è fascista!"

"Nel M5S non c'è democrazia!"

"I grillini sono razzisti!"


Sono in parecchi a rivolgere questo tipo di accuse alla seconda forza politica italiana. Ormai facciamo paura, e diamo fastidio. C'è un sistema mediatico più o meno compatto (se togliamo il Fatto quotidiano e qualche emittente satellitare) che sente il fuoco sotto la sedia, e vomita veleno per difendersi. E ci sono tante persone che, in totale buona fede, ma zavorrati nella loro capacità di analisi da un'educazione reazionaria e un approccio alla vita da compito in classe, abboccano.

Incominciamo a mettere i paletti, se no si parla nel vuoto culturale. Io credo nella essenziale validità del materialismo dialettico come strumento per capire il divenire storico. Poi magari lo applico male, non so. Però lo ritengo valido. Se esiste il M5S è perchè era storicamente necessario. Adesso reasta da capire se è una forza reazionaria o rivoluzionaria. E questo non si stabilisce, non si può stabilire in base al patentino rilasciato o meno da partiti e organizzazioni che hanno portato la Sinistra, per dirla con Celine, in un viaggio al termine della notte.

Adesso che vi ho stupito, io vecchio francofobo, con la citazione del tabagista erotomane (tutti i francesi lo sono per definizione, così come tutti i grillini sono razzisti) vado avanti con il mio ragionamento. Pensiamo al movimento operaio.Se i luddisti fossero stati bravi giovani, educati e che non dicevano le parolacce, le disumane condizioni di lavoro nelle fabbriche inglesi all'inizio dell'Ottocento non sarebbero arrivate sulle prime pagine dei giornali. I luddisti furono brutalmente repressi. Da allora in poi la storia del movimento operaio è una storia di violenza e repressione. Dal massacro di Peterloo nel 1819 alle raffiche di Bava Beccaris nel 1898 (cito a memoria), la prima, immediata risposta alle rivendicazioni dei lavoratori è sempre stata il piombo. 

Anche quando sono arrivati i partiti socialisti e comunisti a organizzare le proteste, a indirizzarle, e a cercare di istruire i lavoratori, il livello medio di consapevolezza e di cultura delle masse rivoluzionarie è rimasto modesto. Se gli operai sono riusciti a tirarsi fuori dallo stato di abbrutimento in cui si trovavano all'inizio dell'era industriale, è stato grazie alla riduzione dell'orario di lavoro e all'aumento dei salari: a quelle conquiste, cioè, che avevano ottenuto dando in faccia agli sbirri e picchiando o minacciando i crumiri. Provo ad azzardare un 'ipotesi: se avessero chiesto le stesse cose per piacere e per cortesia, non le avrebbero ottenute.

Quello che sta succedendo oggi, mutatis mutandis, è qualcosa di molto simile.La differenza principale è che oggi a soffrire è principalmente la classe media, che si era abituata a un certo tenore di vita e lo sta perdendo a causa di una crisi senza apparente sbocco. Uno si aspetterebbe che la gente di sinistra capisse queste dinamiche, e le leggesse per quello che sono (ovvero una contraddizione socio-economica fra ceti produttivi e ceti parassitari), al di là degli inciuci che l'informazione borghese propina a tutte le ore. Ma evidentemente "le morali han chiuso i vostri cuori", come diceva un certo modenese con la barba, e vi hanno trasformati in professoresse. Vi mettete lì, con le vostre matite in mano, e godete nel sottolineare in rosso e in blu ogni errore commesso. Volete gli scolaretti, evidentemente. Alle ultime elezioni avete avuto Ingroia. Quanto gli diamo? Un sei e mezzo? Mica ci facciamo influenzare dal microscopico dettaglio della sua irrilevanza politica? 

Forza, fate le vostre valutazioni, scrivete sul registro quello che ritenete più opportuno, decidete chi è promosso e chi è bocciato. Ma non lamentatevi, poi, se non cambia niente. Le vostre lezioni sono troppo noiose. Per quello la Storia continua a fare filone.

venerdì 4 ottobre 2013

Protestare invano


Cari amici, poc'anzi ero assiso sulla tazza del cesso, intento ad espletare le mie funzioni corporali. Non sono il primo, e non sarò certo l'ultimo a osservare che il gabinetto è una fucina di idee come poche altre. Mi è bastato udire lo strombazzare di mille clacson nella strada sotto casa, evidentemente bloccata dalle solite auto parcheggiate in doppia fila, per capire che mi era stata servita su un piatto d'argento l'ennesima straordinaria metafora della situazione politica di questo paese.

Che cosa facevano gli automobilisti resi pazzi dal traffico? Bussavano. Come se, nella lunga e travagliata storia dell'ingorgo stradale suonare il clacson avesse mai sortito il minimo effetto. O costoro erano tutti freschi patentati, imberbi e ancora non rotti alla vita e alle frustrazioni che ci somministra senza tregua, oppure sapevano benissimo che tutto quello starnazzare era perfettamente inutile, e vi si dedicavano per ragioni che adesso andremo a cercare di comprendere.

Che cosa produce un ingorgo? Il transito di un numero di veicoli eccessivo su una determinata strada, oppure un'auto parcheggiata in modo tale da ostruire il passaggio, o ancora un incrocio affollato in cui gli automobilisti non rispettano le precedenze. In tutti questi scenari, e in tutti gli altri che possiate mai immaginare, a causare l'ingorgo sono sempre i veicoli che poi ne restano prigionieri. Quale potrebbe essere una soluzione efficace contro il traffico, dunque? Ad esempio, rinunciare all'auto per compiere spostamenti di entità modesta. Oppure sostituirla, drasticamente, con uno scooter o con una bicicletta, magari a pedalata assistita. Ma l'italiano, si sa, non ama le soluzioni drastiche, e spesso è incapace anche delle più prudenti e timide innovazioni. Non lo schiodi dal sedile di guida di quella cacchio di macchina. La maledice ogni volta che resta bloccato un quarto d'ora per andare a fare la spesa a poche centinaia di metri da casa, ma se stai cazzo che se la fa a piedi.

Siamo abituati, storicamente, a subire. Siamo, sebbene europei, un popolo di schiavi. L'unica eccezione in tal senso in questo continente, oltre all'Irlanda, almeno a quanto mi risulti dalla mia conoscenza approssimativa della Storia. E che fanno gli schiavi, consci di non poter cambiare la propria sorte? Protestano. Protestano a vuoto, lo sanno che non cambierà niente. Protestano per sfogarsi, non per ottenere qualcosa. 

Ora, tu allo schiavo gli puoi togliere le catene, ma non è che così facendo lo rendi libero. La sua forma mentis resta quella dello schiavo. Se tu vuoi rendere libero lo schiavo gli devi far capire che adesso può andare dove vuole, ma che questo comporta una responsabilità. Se lo liberi dalla piantagione di cotone analfabeta e incapace di prendere decisioni com'è, è matematico che quello finisca negli slums di Chicago e Detroit, passando senza soluzione di continuità dalla schiavitù del campo a quella della fabbrica.

Italiano, brutto schiavo ignorante e abbrutito, guardati i polsi: non hai catene, tu. L'ingorgo a croce uncinata in cui siamo finiti come paese lo abbiamo creato noi, per non aver saputo governare l'automobile del consenso politico. Tu invochi i fucili e le bombe come duecento anni fa invocavi Napoleone. Nel frattempo ci hanno dato il suffragio universale. Contro le fregature che ci ha dato Napoleone puoi inveire a ruota libera, te lo consento, contro le larghe coalizioni che ci stanno mandando in malora no. Contro di loro dobbiamo agire, perchè ne abbiamo la possibilità. In caso contrario, smettiamola di lamentarci. Se proprio dobbiamo dormire, che tacciano i fastidiosi clacson.


giovedì 3 ottobre 2013

Basito...

Cari lettori, il Bradipo è basito. Quello che è successo ieri, e che io ho dovuto vivere in concomitanza con un brutto raffreddore che mi faceva perdere dal naso come un acquedotto italiano, mi ha lasciato senza parole. Non mi avventuro in analisi dei retroscena perchè, detto sinceramente, non ci ho capito (restando in tema di acquedotti) un tubo. L'ennesimo golpe soft (perchè di quello si tratta) ha ulteriormente allungato la vita del governo più impresentabile e meno legittimo che l'Italia repubblicana abbia mai avuto. Silvio Berlusconi ha ceduto. E se uno come lui cede, noi dovremmo riflettere su cosa gli sia stato mai opposto.
 
L'elettorato italiano è stato tradito due volte: la prima, quando il PD ha stretto un'alleanza con il presunto nemico di sempre. In realtà, Berlusconi è stato una manna dal cielo per una sinistra che, all'infuori delle invettive personali contro di lui, aveva pochissimi argomenti. Ma il fatto è che buona parte dell'elettorato PD vedeva in Berlusconi il nemico, e le aspettative di quelle persone sono state clamorosamente disattese. Il secondo tradimento è quello dei "diversamente berlusconiani", gente che senza il citizen Kane italiano si occuperebbe di liti condominiali e truffe sull'IVA, e non sarebbe mai arrivata non dico in Parlamento, ma nemmeno in un consiglio di circoscrizione. Il PDL ha costruito il suo consenso intorno a Silvio Berlusconi, questo è fuor di dubbio. Dunque, tradendo lui, hanno tradito il loro elettorato.

Se si andasse a votare domani, il risultato sarebbe disastroso per il binomio PD/PDL. L'astensionismo raggiungerebbe percentuali statunitensi, il M5S crescerebbe ma probabilmente non arriverebbe all'ambiziosissimo obiettivo del 50% + 1, e ci ritroveremmo con un'altra larga coalizione del non fare. I licenziamenti, i fallimenti, i suicidi continuerebbero, mentre a Ballarò i servi dei servi si metterebbero a discettare sui possibili scenari, proiettando la solita anti-realtà che ormai ipnotizza milioni di persone. Come ebbe a dire lo stesso Berlusconi, i ristoranti sono pieni. Ognuno vede quel che vuole vedere. Mentre il Titanic affonda, l'orchestra continua a suonare, e i passeggeri a ballare. 
 
Ormai la politica va avanti per conto suo, in modo assolutamente autoreferenziale, come una sorta di rappresentazione teatrale con un pubblico sempre più sparuto. Quando la gente ne parla, è in genere in termini di pettegolezzo. Ci si chiede quale, dei tanti baroni feudali che si contendono il potere, riuscirà ad ottenerlo, ma veramente in pochi parlano di fare politica, se non in termini orwelliani. Il governo del "decreto del fare" fa nello stesso modo in cui il Ministero della Verità si occupa di tutelare la verità. Se il loro scopo era quello di far perdere alla maggioranza degli italiani ogni interesse nella politica, ci sono brillantemente riusciti.

Noi, il paese di Don Camillo e Peppone, ci siamo fatti convincere che la politica era una questione non già di visioni del mondo, ma di competenza. Come si fa a non capire che un concetto come questo è l'anticamenra di una nuova forma di fascismo? E ci siamo, ormai, in pieno regime. Abbiamo un governo che, se la sua permanenza in essere fosse resa oggetto di un plebiscito, perderebbe nettamente, ma di tornare alle urne non se ne parla.

Se così credete giusto, voi tenete d'occhio lo spread, e continuate a guardare la farsa che mettono in scena. Continuate a ballare sul ponte del Titanic, mentre affondiamo sotto la supervisione del capitano. Esultate per la fine di Berlusconi, mentre Schettino ci guarda colare a picco dallo scoglio e rassicura le borse sulla nostra stabilità. E mormora, chissà perchè in tedesco, "es ist gut"...


mercoledì 2 ottobre 2013

Quattro pidocchi in più...


Cari lettori, oggi vi do un po' di tregua dalla campagna elettorale invereconda che sto facendo al M5S. Ne siete saturi, lo so bene. E allora distraiamoci un po' con il pallone. Sappiate, però, che non sarò meno caustico con gli imbroglioncelli del mondo pedatorio di quanto non lo sia con quelli della politica. 

Avrete forse notato che quest'anno non avevo ancora scritto del Napoli. Eravamo partiti troppo bene, e dovevo avere modo di vedere luci e ombre, prima di esprimermi. Non avrei mai sopportato di tessere, proprio io, gli elogi del cazzaro di Castelvolturno per poi essere smentito dalla realtà. La partita di ieri sera dimostra che la mia cautela era giustificata. 

Perdere contro l'Arsenal a Londra ci sta, ci mancherebbe. Farsi camminare addosso, e concludere il match senza un tiro in porta degno di questo nome, no. Britos in Champions' League è un'offesa al calcio, e l'inserimento di Zapata in finale di partita  praticamente una provocazione situazionista. Non me la prendo con Benitez, sia ben chiaro: il tecnico spagnolo mi piace, il suo calcio è divertente da guardare e sta dando tutto sommato ottimi risultati. Me la prendo, come di consueto, con Aurelio De Laurentiis. Ancora una volta ha dimostrato di non essere qui per fare calcio, ma solo per fare utili.

Sarebbe bastato prendere Matri e Astori per rendere accettabile la nostra rosa. Allo stato attuale, non abbiamo un uomo in grado di sostituire Higuain. Per quale arcano motivo sia stato acquistato il pachidermico Zapata, è noto solo a Mac Laurentiis, Riccardino Bigon e Paolo Fox. Se fossi in Roberto Giacobbo, ci farei una puntata, su questo mistero: perchè Duvan Zapata ha intrapreso la carriera del calciatore, quando ha proprio il physique du role del buttafuori? Un'altra domanda: Britos è consapevole che con prestazioni come quella di Highbury rischia di rendersi responsabile di un'ecatombe di cardiopatici? Inler manca di reattività e ritarda sempre le giocate, difetti che contro avversari di quel livello condizionano il risultato. Pandev non è in grado di giocare centravanti, e soprattutto non ha i 90 minuti nelle gambe, cosa pressoché incredibile per un giocatore di appena 30 anni. La freschezza atletica, così come i capelli, ha cominciato ad abbandonarlo presto.

Insomma, molto si è fatto in campagna acquisti, ma molto resta da fare. Aspettiamo gennaio, e vediamo come si comporterà il nostro caro presidente. La gestione di questo club ha bisogno di meno clausole rescissorie e una logica più orientata al soddisfacimento dei requisiti tecnico-tattici di una stagione fitta di impegni. E le aspettative, caro De Taccagnis, non si possono più ingannare e differire. Vogliamo far tremare la Gliuve, vogliamo fare la nostra porca figura anche sul palcoscenico europeo. E tu, mannaggia al pataturco, devi cacciare i soldi. Le chiacchiere stanno a zero. Vedi di fare quello che devi fare, altrimenti appena Grillo e Casaleggio si impadroniscono del potere io (che sono segretamente finanziato da loro per appiccicarmi con gli amici su Facebook) ti faccio mettere su un aereo insieme a Zapata, a Britos e a tutti i non pervenuti che vai comprando, e ti faccio deportare in Guatemala, da Ingroia. E allora, ogni volta che ti sembrerà di vedere un bradipo sogghignare, penserai a me, e ti dirai che quattro pidocchi in più li potevi pure cacciare...

martedì 1 ottobre 2013

Feudalesimo e libertà


 

Cari amici del Bradipo, voi che siete informatissimi su ogni genere di facezia e trastullaggine, sicuramente sarete al corrente dell'esistenza di un finto partito politico chiamato come questo post. Ormai sono seguitissimi su Facebook, hanno anche un bell'inno in stile epic metal che ricorda i migliori Manowar. La gente invia continuamente foto in costume medievale, spesso con spada e scudo, dichiarandosi con fiera baldanza pronta alla pugna. Come mai tanto successo? Proviamo a capirlo.

Pensate alla vostra vita. Pensate a quando avete fatto tutti i passi più importanti, nel bene e nel male, e ditemi se ce n'è stato uno solo che non sia stato segnato da dinamiche feudali. Se io ripenso alla mia, la risposta è semplice: mai. In tutte le scelte sono stato orientato dal concetto di appartenenza, come se fossi stato una specie di servo della gleba che non poteva staccarsi dalla sua zolla. Ogniqualvolta ho dovuto schierarmi, l'ho fatto per la mia contrada, come se fossi stato al Palio di Siena. E quando, per ragioni lavorative, ho dovuto sottopormi al giudizio altrui, sono sempre stato valutato non per quello che ero, ma in base a chi mi faceva da sponsor, al mio "feudatario".

La parola "libertà" ricorre continuamente nel linguaggio politico, in Italia e altrove, è una fissazione delle democrazie liberali. Naturalmente, qui da noi è intesa per lo più come la libertà di farsi i fatti propri e non darne conto a nessuno. Del resto, quale concetto di libertà può avere un popolo come il nostro, che vive in condizioni di totale asservimento a logiche così radicalmente antitetiche alla libertà stessa? E quale desiderio, quale anelito, di libertà? Quello che vuole la maggior parte degli italiani non è altro che la possibilità, il diritto riconosciuto di seguire la propria fede e/o il proprio percorso di appartenenza a dispetto di tutto.

Se "libertà" è un lessema onnipresente, forse ancora più importante per capire quello che sta succedendo in questo paese è un altro concetto: quello di identità. Conosco gente che vota PD da sempre, li ha accompagnati da quando erano il PCI, attraverso tutte le svolte e le mutazioni. Di fronte all'alleanza incestuosa (dal loro punto di vista) con il PDL sono stati capaci di dire che era "colpa di Grillo". E sostengono che continueranno a votarlo, il PD. Questa è la libertà che vogliono molti di noi: quella di restare sempre identici a se stessi, nonostante ogni cosa.

Ma che cos'è che costruisce un'identità, se non le nostre esperienze? Non a caso, una delle tecniche di tortura più raffinate e diffuse è la deprivazione sensoriale. Senza contatto con il mondo e con gli altri, perdiamo rapidamente il nostro senso di identità. Non sappiamo più chi siamo. E che cos'è che indirizza il pensiero, se non quelle stesse esperienze, seppure poi lette attraverso mille filtri e con l'ausilio di mille strumenti culturali?

Per questo il M5S vi rompe il cazzo. Per questo alzate la voce quando lo si nomina, per questo gli sparate addosso tutte le munizioni di critica distruttiva che vi fornisce un sistema dell'informazione servo e feudale, per questo vi ostinate a sostenere che appartiene a Grillo e Casaleggio. Perchè il M5S mette in crisi la vostra visione del mondo, quella che tradite quando dite "è sempre stato così, e sempre sarà così". Perchè, scusate la malizia, io sospetto che abbiate un sacro terrore di accorgervi che sotto la patina di irrealtà costruita dal discorso politico dominante, c'è una reltà scostumata e lazzara che vi rimanderà un'immagine di voi stessi enormemente diversa da quella che vi siete scelta. Voi volete la libertà di essere, non di fare. E non capite che è l'agire, non le identità, a dare forma alla realtà che tutti subiamo. 

Alcuni di voi sono marxisti, e ciò rende le vostre contraddizioni veramente penose. Senza offesa per nessuno, ben inteso. Io dico la mia, voi la vostra. E la mia idea è che se c'è una dottrina politica in cui il divenire fa la parte del leone, quella è il marxismo; è dunque tragicomico vedere dei sedicenti marxisti aggrapparsi a una chimera, a un ideale estetico di stasi impossibile. 

Al di là delle burle, dei frizzi e dei lazzi, feudalesimo e libertà si escludono a vicenda. Se volete restare sotto la protezione della vostra investitura e del vostro ruolo in un ordine immutabile, scegliete il primo. Ma se volete riempirvi la bocca con la libertà, sarà bene che vi rendiate conto che l'Imperatore, mi perdonino i simpatici armigeri libatori di cervogia, deve morire. Alla pugna, dunque. E vediamo di scegliere bene da che parte stare.