domenica 11 settembre 2016

Sputare sul futuro

Questa è un'immagine molto italiana. Quando, una quindicina d'anni fa, il giocatore che vedete in foto sputò addosso a un difensore della nazionale danese, mi meravigliò la clemenza dei nostri media. Ora, che conosco un po' meglio questo paese, non mi sorprende più tanto. Il fair play non ci appartiene, purtroppo. Il nostro antagonista, rivale o avversario deve morire, è una merda, e noi proveremo a sopraffarlo con ogni mezzo. Per rimanere nell'ambito calcistico, abbiamo vinto un Mondiale nel 2006 anche grazie alle ingiurie di Materazzi rivolte alla sorella di Zidane. 
 
Ma non è solo il nostro spirito di competizione che ci porta ad attaccare il prossimo nei modi più bassi e volgari; spesso e volentieri, lo facciamo semplicemente per dare sfogo ai nostri peggiori istinti, forse per trovare uno sbocco a pulsioni nefaste che ci mangiano da dentro. Non potendo, non sapendo come migliorare la nostra condizione personale, ci rifacciamo sul vicino di casa, sul collega, non di rado sull'amico, senza capire che il nostro malessere non è causato certo da loro; e che, anzi, compattandoci fra di noi potremmo magari fare qualche passettino avanti, facendo indietreggiare i nostri reali nemici.
 
Una categoria particolarmente soggetta a questi attacchi è quella degli insegnanti. I quali, perlomeno per la maggior parte, non hanno mai truffato risparmiatori, non hanno sotterrato rifiuti tossici, non hanno insanguinato le strade delle nostre città con faide criminali, non hanno utilizzato denaro pubblico per mettere su reti di malaffare. Qual è, dunque, il nostro imperdonabile peccato? Che, rispetto a molte altre categorie professionali, ridotte ormai in uno stato di semi-schiavitù, godiamo di maggiori sicurezze contrattuali, e che lavoriamo poco.
 
Io adesso non voglio perdere tempo a spiegare tutta una serie di cose sul mio lavoro che potrebbero far riflettere qualcuno su cosa voglia dire essere un insegnante. Fino a due anni fa non le sospettavo neanche, e scoprirle ha significato la più profonda trasformazione della mia vita. Questa esperienza me la tengo per me, col cazzo che la espongo alla leggera idiozia delle genti. Vorrei farvi notare, invece, che ognuno di noi è quello che è, in buona parte, grazie alla scuola. I bravi studenti diventano, di regola, persone che sanno vivere. Che affrontano mille difficoltà, certo, e non è detto che escano vincitori da questa battaglia di tutti contro tutti che è diventata la società, ma comunque persone che hanno gli strumenti per capire cosa stanno vivendo. Quando i genitori dei nostri alunni capiscono perché siamo lì e perché rompiamo le scatole ai loro figli, ci ringraziano. Un giorno anche i loro figli lo faranno, forse.

Quando ci sputano addosso, senza capirlo, stanno sputando sul futuro dei loro figli. Quando accolgono con soddisfazione la precarizzazione della nostra categoria, perché "siamo dei privilegiati", non si rendono conto che stanno dando la loro approvazione a misure volte a scoraggiare i più capaci e volitivi dall'intraprendere una carriera da insegnanti. Quando si scandalizzano del nostro disappunto di fronte al peggioramento costante della gestione della scuola, non hanno la percezione del fatto che questo peggioramento non colpisce solo noi, ma anche le persone che hanno più care al mondo (almeno in teoria...), i loro figli. Lo so che nel call centre trattano peggio i lavoratori, ed è vergognoso che il legislatore non intervenga per arginare forme estreme di sfruttamento. Ma, con tutto il rispetto per chi in un call centre ci lavora, noi non siamo dipendenti di Vodafone o Wind; siamo dipendenti dello Stato, e quindi di tutti coloro che vivono in questo paese. Ci pagate per aiutarvi a dare il meglio ai vostri pargoli e rampolli, o no? Bene, e allora prendeteci pure con la mazza quando facciamo i furbi e i lavativi; quando lavoriamo con serietà, rispettateci e aiutateci. E ricordatevi una cosa: di Francesco Totti ne nasce uno ogni venti o trenta anni. Gli ignoranti qualsiasi, prima di sputare, farebbero meglio a stare attenti. Come dicono a Sutton on sea, Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna.
 
 
 

venerdì 9 settembre 2016

Postulanti alla meta

 
Da piccoli ci hanno insegnato che le cose si chiedono per favore. Se siete stati bambini obbedienti e coscienziosi come il vostro Bradipo, avete imparato la lezione e preso quindi l'abitudine di non esigere con arroganza, né tantomeno appropriarvi di quello che volevate con la forza. Ma poi siamo cresciuti, e ci siamo accorti che non tutti erano venuti su educati e rispettosi del prossimo; qualcuno aveva seguito la sempreverde vocazione del fetente di merda, ancora  attraente per il genere umano in quanto inspiegabilmente tollerata dalle genti. Le quali genti, anziché prendere il fetente di turno e impalarlo sulla pubblica piazza, onde evitare che la fetenzia prendesse il sopravento, lo hanno additato a modello di successo. 
 
"Guarda quel fetente come veste bene! E che savoir faire!"
 
E così i fetenti sono diventati la classe dominante. Si prendevano quello che non apparteneva loro senza chiedere il permesso a nessuno, non solo con il beneplacito, ma proprio con l'aiuto del resto della popolazione. Andavano dal contadino che si spezzava la schiena a lavorare nei campi per sfamare la famiglia (quando andava bene) e gli leggevano l'editto in base al quale doveva lasciare casa e lavoro e andare a combattere per i fetenti. E quello ci andava. E se non ci andava succedeva una cosa di un'assurdità grottesca e tragica: il fetente diventava lui. Allo stesso modo se si rifiutava di pagare tributi o prestare opera gratuitamente al fetente. La legge la facevano i fetenti.
 
Gradualmente, e viene quasi di dire suo malgrado, la specie umana ha cominciato a capire che questo stato di cose era insostenibile, in quanto sprecava risorse e talenti in quantità gigantesche. E allora ha iniziato a mettere argini ai fetenti. Fra questi, quello senz'altro più significativo è stata la messa in discussione della proprietà privata.
 
"Nè, fetente di merda, posa la roba ché ti cionchiamo le mani!"
 
Così si sarebbero espressi i padri del Socialismo, se fossero stati originari del Wiltshire settentrionale. E la specie umana, per molti decenni, ha preso sul serio queste critiche al diritto dei fetenti di accumulare a danno della gente per bene, quella che lavora. Le ha prese tanto sul serio che persino i fetenti hanno dovuto fare delle concessioni, e abbiamo avuto i diritti.
 
Ma poi, e tutto questo è successo nell'arco di decenni terribilmente brevi, i fetenti hanno cominciato a lusingarci con beni voluttuosi e promesse di potere:
 
"Anche tu puoi essere come noi! La fatica la fanno i ciucci! Vieni anche tu nel club dei fetenti di merda!"
 
Così la civiltà è diventata una lotteria, una specie di giostra sulla quale puoi continuare a girare solo se sei il fortunato che ha preso al volo il fiocchettino. I diritti sono spariti mentre facevamo il giro della morte, e i fetenti sono più agguerriti che mai. Cosa ci resta, dunque? L'educazione che ci ha dato mammà. Teniamola da conto, perché dovremo passare la vita a chiedere, a supplicare, a implorare che ci diano quel poco che ci spetta, nella speranza che i fetenti non ritengano di prendersi anche quello. 

lunedì 5 settembre 2016

Ma quale libertà?

"Sono alto due metri e faccio quello che mi pare". Così il professore di archeologia interpretato da John Cleese in questo divertente sketch, prima di colpire con un plateale uppercut il conduttore del programma a cui era stato invitato. Non vi sto a spiegare tutto lo sketch, andatelo a guardare, se volete. Quello su cui mi voglio soffermare è la battuta. Sono alto due metri e faccio quello che mi pare.

Piccola deviazione di percorso. Per aspera ad astra, come dicono a Casavatore. Dunque, oggi mi è arrivata a casa una splendida Gibson J45, il regalo che mi sono fatto per aver superato il concorso a cattedra. Sono stato a lungo indeciso fra quella e una Martin D18, strumento altrettanto valido ma con un suono piuttosto diverso. Alla fine ho fatto una scelta basata su tutta una serie di criteri che non sto a elencare per non tediarvi. Si fa presto a dire chitarra; se avessi scelto la Martin adesso avrei a casa un altro strumento, con altri pregi e altri limiti. Ho dovuto scegliere.
 
Per la libertà va fatto esattamente lo stesso discorso. Ognuno di noi sceglie, spesso senza rendersene conto, la concezione che più gli aggrada. In base a quali criteri? Essenzialmente, in base alla propria visione del mondo, alla propria ideologia. C'è chi si vede (o si crede) alto due metri e reclama il diritto a fare quello che gli pare, e c'è chi intende la libertà essenzialmente come il diritto a non essere calpestato da chi è alto due metri e pretende di fare quello che gli pare. Io rientro nella seconda categoria.
 
In quale categoria rientra, invece, la nuova "sinistra", quella che si identifica con chi offende, irride e disprezza le masse popolari? Quella che, finalmente libera dalla necessità di fingersi interessata alla sorte dei lavoratori (che ormai votano in massa a destra, o non votano) può dare libero sfogo al suo disprezzo di chi non ha fatto l'università e non mangia biologico? Quando lo avete capito, fatemi un fischio. Nel frattempo, salutatemi Charlie Hebdo e il professor Eversley, che è alto due metri e fa quello che gli pare. 

sabato 3 settembre 2016

Il sacro fuoco

Sì, perché alla fine la domanda che dovremmo porci è una sola, e ora provo a enunciarla nel modo più chiaro e conciso possibile: il fatto che tu abbia letto i libri scritti fitti fitti e senza figure ti mette su un piano diverso rispetto ai comuni mortali? La tua (presunta) superiorità intellettuale ti conferisce il diritto di guardare il genere umano dall'alto in basso, come una sorta di semi-dio o, quantomeno, eroe da saga epica? Il sacro fuoco che sei convinto di aver rubato ti fa migliore di me?
 
Non voglio nemmeno affrontare un altro discorso, relativo alla tua comprensione di tutti i libri che hai letto, o alla reale qualità del tuo ingegno o del tuo senso dell'umorismo. Ammettiamolo pure, che tu sia una cima, uno spiritosone, un fine analista della politica nazionale ed estera. Sei per questo altro dall'ignorante, dal rozzo, dal becero salviniano? Non condividete la stessa natura umana? Non condividete una parte consistente dei vostri destini, vivendo sotto l'ombrello della stessa oppressione, delle stesse elaborate menzogne, della stessa violenza? Non per provocare, per capire... ma allora di chi saresti "compagno" tu?
 
Mettiamo pure che tu lo abbia colto, quel sacro fuoco: adesso che ci fai? Lo condividi con tutti noi o ne fai una torcia alla luce della quale brillare, e da brandire come un'arma nei confronti delle forme di vita inferiori? Il tuo è il fuoco di Prometeo o quello dell'Inquisizione?
 
Tutti i discorsi, oggi, riportano a questo. Se vuoi veramente una società di uguali, smettila di brandire quella torcia come un'arma, dismetti i panni del gran dottore e indossa quelli del coglione qualunque; forse, se mettiamo tante fiaccole insieme, riusciamo a fare un po' di luce sul buio spaventoso di questa epoca di inaudita ferocia. 
 

venerdì 2 settembre 2016

A chi mozzica il cane?

Allo stracciato. Sempre a lui. Per esempio, se un terremoto uccide centinaia di persone (per ragioni ovvie, hanno fatto le case con la sabbia, lo sappiamo dal 2009 purtroppo), arriva il cane sotto forma di spiritosone d'Oltralpe e fa la battuta sulla pasta. Con la gente che ha perso la casa e tutto quello che aveva dentro, quando non i propri cari o addirittura la stessa vita. Lo spiritosone ha bisogno di clic, di visibilità, e azzanna lo stracciato senza pensarci due volte. Poi si scatena il putiferio, e lo spiritosone fa un'altra vignetta, in cui al luogo comune della pasta si sostituisce quello della mafia. Attendiamo con ansia il mandolino
 
Qualcuno in tutto questo difende la libertà di satira, perché forse gli è sfuggito che lo spiritosone è francese, o magari non sa come è nato questo paese, e che rapporti ha storicamente con la Francia. E non si rende conto, perché magari lui o lei non è emigrato o non ha mai lavorato in un call centre e non capisce che vuol dire essere lo stracciato, della ferocia che sottende a quelle vignette. Nel momento in cui questo paese avrebbe bisogno di interrogarsi seriamente sul proprio stato e sul proprio futuro, si ritrova stretto in una morsa da una casuale ma non per questo meno letale manovra a tenaglia che vede da un lato l'indefinibile campagna del Ministero della Salute sulla fertilità, e dall'altro le speculazioni di ogni genere sul sisma che ancora una volta gli ha squarciato le viscere.

Io dico sempre le stesse cose, lo so bene. In realtà, qualche volta cambio anche idea. Ad esempio, al tempo della guerra in Libia scrissi dei post che oggi non condividerei. Ma, tutto sommato, i miei valori e la mia visione restano ormai costanti. Questo anche perché la realtà, come suggerisce il titolo del post, resta ferma, stantia, non si evolve. Mentre cerchiamo su Facebook la nostra identità, un partner, l'illusione di non essere dei poveri stronzi, ci fanno sistematicamente terra bruciata intorno. E noi, fessi, ancora non abbiamo capito che lo stracciato siamo sempre noi.